Apostolo e martire. I dati biografici in nostro possesso, assai limitati, sono
forniti in parte dai
Vangeli e in parte, per gli avvenimenti successivi
alla morte di Cristo e fino al 50 d.C. circa, dagli
Atti degli Apostoli.
Nato a Betsaida, sulle rive del lago di Tiberiade, forse qualche anno prima di
Cristo,
P. visse a Cafarnao, dove faceva il pescatore con il fratello
Andrea; come quest'ultimo, era stato discepolo di Giovanni Battista. Quando
Gesù iniziò la sua predicazione, durante la prima sosta a Cafarnao
fu ospite in casa di
P. (cui aveva guarito la suocera,
Marco 1,
29-31) e chiamò quest'ultimo a seguirlo. I Vangeli sinottici concordano
in diversi luoghi nel tratteggiare la figura di
P. come "primo" fra i
discepoli. Particolare importanza, in questo senso, riveste il cosiddetto "testo
petrino" (
Matteo, 16, 13-19;
Marco 8, 17-20;
Luca 9,
18-20), da cui si comprende anche il motivo per cui Gesù stesso
mutò il nome originario dell'apostolo,
Simone figlio di Giona,
nell'aramaico
Kefa: roccia (reso
Cefa dal Nuovo Testamento), da
cui il calco greco
Pétros. Quando infatti
P.
proclamò la sua fede in Gesù come Messia e Figlio del Dio vivente,
questi gli rispose con la celeberrima frase "Tu sei
P. e su questa pietra
fonderò la mia Chiesa...". La Chiesa cattolica ha sempre interpretato
questo passo come l'origine e la legittimazione del primato che essa rivendica
per il vescovo di Roma, successore di
P., sugli altri vescovi. Il testo
petrino racchiude certamente l'episodio più importante ed esplicito, ma
non è l'unico in cui sia indicata la preminenza accordata a
P. da
Gesù: esso è anzi confortato dal racconto, nei Vangeli, di altri
momenti di uguale tenore. Valgano come esempi: l'esortazione a confermare i
fratelli nella fede rivolta da Cristo a
P. dopo l'ultima cena
(
Luca 22, 21-22); la triplice professione d'amore richiesta a
P.
da Gesù risorto, quasi a riparazione del triplice rinnegamento, e
l'incarico a lui affidato, anch'esso per tre volte, "pasci le mie pecore"
(
Giovanni 21, 15-18). Inoltre, insieme a Giacomo e Giovanni,
P. fu
prescelto da Gesù per assistere alla sua trasfigurazione sul monte Tabor.
Numerosi sono i passi degli
Atti riferiti a
P. e tutti confermano
la sua autorevolezza, all'interno della prima comunità: dopo la
Pentecoste,
P. pronunciò il primo discorso pubblico a
testimonianza della vita di Cristo, della sua morte, resurrezione e
divinità. Fu lui a compiere il primo miracolo dopo la morte di
Gesù, guarendo uno storpio, a legittimare l'elezione di Mattia come
dodicesimo apostolo in luogo di Giuda e a operare la prima conversione di un
pagano, il centurione Cornelio, ammettendolo al Battesimo. Gli
Atti ci
testimoniano anche alcuni suoi viaggi di ispezione apostolica nelle
comunità di Palestina. Interrogato e flagellato dal Sinedrio come il
più pericoloso fra i discepoli di Gesù, fu più volte
imprigionato: l'ultima volta, nel 42, per volere di re Agrippa I, persecutore
dei cristiani, che fece anche decapitare l'apostolo Giacomo.
P. fu
liberato misteriosamente dal carcere e, secondo il testo, "fuggì
altrove". Si tratta delle ultime notizie fornite dagli
Atti a proposito
di
P., se si escludono quelle incluse nel racconto del Concilio di
Gerusalemme del 50, in cui egli sostenne la decisione definitiva riguardo
l'assenza di obbligo, per i convertiti non Ebrei, a rispettare le leggi
mosaiche. Il Nuovo Testamento non parla più esplicitamente di lui a
partire da questa data, ma possiamo ricavare per via indiretta (
Galati 2,
11-14) che visse per un certo periodo ad Antiochia di Siria. È probabile
che in seguito
P. si recasse anche a Corinto e infine a Roma. Circa la
venuta e il martirio di
P. nella capitale imperiale si è discusso
a lungo. Il Nuovo Testamento sembra presupporre entrambe i fatti, cui allude
oscuramente in alcuni passi (ad esempio
Giovanni 21, 18), e la stessa
prima lettera di
P. recante la dicitura
in Babilonia, oggi
ritenuta una metafora per indicare Roma, depone per la sua presenza nella
città. Essa e il martirio sono suffragati concordemente da testimonianze
letterarie e archeologiche: in particolare, ricordiamo la lettera indirizzata
alla comunità di Corinto da papa Clemente Romano intorno al 96 (
Ad
Corinthios 5, 1-5; 6, 1), in cui il martirio di
P. e Paolo è
definito un grande esempio "fra di noi". Anche Tertulliano e il cosiddetto
frammento Muratoriano attestano il martirio romano, mentre il particolare
della crocifissione a capo in giù è ricordato (se si esclude
l'accenno giovanneo) da Origene (raccolto da Eusebio,
Storia
ecclesiastica). La datazione della presenza di
P. conta su un solo
termine di riferimento: l'anno 58 in cui venne composta la lettera paolina ai
Romani, che rende improbabile l'arrivo a Roma di
P. in epoca anteriore.
Difficile è stabilire l'anno esatto della morte, anche se la maggior
parte degli studiosi propende per il 64-65, anni delle persecuzioni neroniane, o
al più tardi il 67, sulla scorta di Eusebio e San Girolamo. La tradizione
indicava il colle vaticano come luogo di sepoltura di
P., su cui
Costantino avrebbe fatto erigere una chiesa, e, in effetti, gli scavi compiuti
sotto la basilica vaticana hanno portato alla luce il monumento funebre di cui
parlava nel II sec. il prete Gaio (riportato da Eusebio): lo studio dei bolli
impressi ai mattoni ha permesso la sicura datazione tra il 141 e il 167. La
presenza di numerosissimi ex voto e monete relative ad un lasso di tempo molto
ampio (datate da Augusto a papa Paolo V) testimonia inoltre l'ininterrotta
devozione dei pellegrini a questo luogo evidentemente venerato (ancorché
nel II sec. esso fosse circondato da un comune cimitero pagano). Questi dati,
uniti al fatto che nessun'altra località al mondo ha mai vantato
tradizioni relative a una tomba del santo, depongono a favore dell'effettiva
esistenza sul colle vaticano del sepolcro petrino. Festa: 29 giugno. •
Icon. - Rappresentato in età paleocristiana come apostolo, con tunica,
manto, barba e capelli ricciuti, la sua figura assunse via via caratteri
vescovili, e paramenti pontificali. Suoi attributi sono le chiavi, che compaiono
già in un sarcofago del V sec., il rotulo o libro, la croce capovolta del
martirio, la triplice croce pastorale. • Rel. -
Lettere di P.: sono
definiti tali due brevi componimenti in forma epistolare, accolti nel canone del
Nuovo Testamento e attribuiti all'apostolo dalla tradizione più antica.
La prima (
I, Petri), indirizzata da
P. ai cristiani del Ponto,
della Galizia, della Cappadocia, dell'Asia e della Bitinia e recante
l'espressione
in Babilonia, fu inviata da Roma e reca i saluti di Marco
evangelista, anch'egli a Roma nello stesso periodo, e quelli di Silvano, in
precedenza discepolo di Paolo e allora "segretario" di
P. Il suo concorso
nella redazione della lettera spiegherebbe la densità e frequenza in essa
di richiami, frasi e concetti paolini che in un primo tempo avevano fatto
dubitare della sua autenticità. Divisa in cinque capitoli, consiste in
un'esortazione ai credenti a sopportare la prova delle persecuzioni e a vivere
in modo irreprensibile e degno del grande dono della redenzione. Le
comunità destinatarie sembrano essere di recente fondazione, come si
ricava dagli accenni ricorrenti al paganesimo abbandonato e dai consigli
particolareggiati sul giusto comportamento da perseguire fra mariti e mogli,
schiavi e padroni, sudditi ed autorità. La seconda lettera (
II,
Petri), divisa in tre brevi capitoli, non indica i destinatari, in compenso
è molto esplicita per quanto riguarda il mittente, che si qualifica come
Simone
P., servo e apostolo di Gesù Cristo, e ricorre a molte
allusioni per assicurare i lettori sulla propria identità: ricorda la sua
presenza accanto a Gesù nel momento della Trasfigurazione, parla della
lettera come di un "secondo scritto", cita il "carissimo fratello Paolo", ecc.
Tutti questi dati non hanno però impedito di dubitare fin dai primi
secoli dell'autenticità dello scritto. Oltre alla discrepanza stilistica
con la prima lettera, giustificabile forse supponendo due segretari "redattori"
differenti, vi sono alcuni elementi sostanziali che rendono difficoltosa una
attribuzione petrina, in particolare: la descrizione degli eretici e delle loro
dottrine, che non pare applicabile alla situazione della Chiesa anteriore al 67;
l'evidente dipendenza dalla
Lettera di Giuda; il richiamo esplicito al
corpus dell'epistolario paolino che presuppone una conoscenza di esso già
come di un
unicum. Alcuni studiosi sono così giunti a collocare la
composizione di questa lettera intorno agli anni 80, verosimilmente ad opera di
un discepolo di
P. stesso. Il primo capitolo di questo scritto tratta dei
benefici effetti della redenzione, esorta a una vita virtuosa e sostiene la
ragionevolezza della fede e della speranza cristiana testimoniando l'episodio
della Trasfigurazione di Gesù; il secondo sottolinea il danno prodotto
nelle comunità dalla presenza di eretici ("maestri bugiardi"); il terzo
si sofferma a confutare la negazione fatta da alcuni della seconda venuta di
Cristo e della fine del mondo. ║
Apocalisse di P.: scritto
apocalittico apocrifo, databile alla prima metà del II sec. Pur avendo
goduto di una certa autorità nei primi secoli, oggi l'
Apocalisse
ci è nota solo in parte (attraverso citazioni di autori antichi, un ampio
frammento greco e una versione etiopica). In essa l'autore dà
testimonianza di una rivelazione ricevuta direttamente da Gesù sul
Giudizio finale, sulle pene dei malvagi e sulla ricompensa dei giusti. ║
Atti di P.: scritto apocrifo, composto in greco verso la fine del II
sec., forse a Roma o in Asia Minore, di cui resta un frammento relativo al
martirio di
P. Comprende anche la leggenda del
Quo vadis?, secondo
la quale
P. in fuga da Roma per sfuggire alla persecuzione di Nerone,
incontrò lungo la via il Signore che si recava in città per essere
crocifisso una seconda volta. L'apostolo rientrò allora a Roma dove fu
martirizzato.